Amici della chiesa di S. Antonio in Capraia

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I Francescani a Capraia

  1. Premessa

Nei primi decenni del Seicento, con il diminuire delle incursioni dei corsari barbareschi, la popolazione dell’isola di Capraia iniziò a crescere e dai circa 250 abitanti stabili registrati alla metà del Cinquecento dopo la razzia di Dragut, se ne contavano oltre 320 intorno al 1620.[1]Una crescita che continuò impetuosa nei decenni successivi tanto che tra il 1660 e il 1670 la popolazione era costituita 700-800 abitanti.

La popolazione, come è il caso della maggior parte delle popolazioni che vivevano lungo le coste del mare, era molto religiosa e applicava con devozione gli insegnamenti della Chiesa. Ne erano la prova le diverse cappelle sparse per l’isola: la chiesa di San Nicola di Bari all’interno del forte, l’antica chiesa parrocchiale di Santo Stefano al Piano, la Chiesa della Madonna del Porto, le cappelle di San Giacomo e di San Rocco. Inoltre esisteva, da tempi lontani, la Confraternita di Santa Croce molto attiva nel sostegno, non solo spirituale, ai Capraiesi. Oltre alla popolazione stabile anche la piccola corte del Commissario (la sua famiglia, il cancelliere, il sergente) e la guarnigione della torre dello Zenobito, nella quale era stata ricavata una piccola cappella dove si celebrava messa una volta alla settimana, necessitavano di assistenza spirituale. Non pochi erano poi gli equipaggi delle imbarcazioni che sostavano nel porto in transito da e per Genova e durante i mesi della pesca alle acciughe.

Nell’isola risiedeva, anche se non con continuità, un pievano nominato dal vescovo della diocesi di Massa Marittima e Populonia della quale l’isola faceva parte dal XII secolo. Il pievano di Capraia non godeva di uno stipendio ma viveva delle decime, della rendita dei beni parrocchiali e delle elemosine dei fedeli.

Ma nei primi anni del Seicento il solo pievano, che spesso era distratto da attività non propriamente religiose, non era più sufficiente per le esigenze di culto della popolazione e della guarnigione. Inoltre, spesso sorgevano attriti tra il pievano e diversi commissari che si succedevano al comando dell’isola, attriti generati dal poco rispetto che i pievani mostravano nei confronti dei commissari e derivati anche dalla duplice appartenenza dell’isola, per la sovranità alla Repubblica di Genova e per lo spirituale a Massa Marittima, che faceva parte del territorio del Granducato di Toscana.

Per le ragioni suddette i Padri del Comune e il commissario iniziarono ad inviare pressanti richieste sia al governatore di Corsica a Bastia sia al Magistrato di Corsica a Genova affinché venisse nominato un cappellano per provvedere alle esigenze della guarnigione e che potesse anche supplire a quelle della popolazione in caso di malattia o assenza del pievano.[2] Così scrivevano a Genova i Padri del Comune nel 1623:

 

«Per il grandissimo bisogno che qui in questo loco abbiamo di un altro religioso si fa pero ricorrere a piedi di VV.SS. Serenissime con questa nostra a nome di tutta questa Comunità di voler far gratia che trovandosi noi in questa Isola con un simplice sacerdote fussimo dalle SS.rie VV. Serenissime ricorsi di un altro, massime che addesso è aumentato il popolo a segno tale che per non esserci solo che questo sacerdotte è caosa che il più delle volte restano assai delle persone prive e di messe e confessione e quel che comporta il più che occorendo il caso fusse il detto qui religioso impedito da malatia overo altro, pensano VV.SS. Serenissime in che stato si trovarebbero in questo suo miserabile loco»[3].

 

Lo stesso concetto veniva ribadito dal Commissario Alessandro Scorza:

 

«Il Commissario, soldatesche, et altri di questo Presidio patiscono oltramodo per il bisogno, v’è d’un capellano, per dirsi una messa, che sola v’è da questo prete ad hore piu accomodate a se et alla gente di campagna, che ad altri. Altre volte v’è stato un capellano e levatosi perché forse non v’era il bisogno, perché all’hora il Popolo non era la quinta parte, che hora vi è, e così bastava un solo sacerdote, ma la presente, che passano 300 anime, et ogni giorno se vanno aumentando, è causa che tal’hora, non tutti sentono messa, e se patisce di Confessione»[4]

 

Il Magistrato di Corsica non rimase insensibile alla richiesta dei Capraiesi e del commissario e iniziò a cercare un cappellano per la guarnigione, anche se non fu facile trovarne uno disposto a recarsi nell’isola.

Finalmente nel marzo del 1624 il Magistrato di Corsica poté comunicare al Commissario che:

 

«Vogliamo credere che si sarà trovato un Capellano per il bisogno vostro, e di codesti Popoli, et è un Padre di San Francesco huomo per quanto intendiamo di molto valore e bontà. Se li è fatto intendere, che si ponga a camino, massime dovendo venire da Milano, et andar a Massa di Carrara per farsi approvare alle confessioni da quel Vescovo sotto la cui diocesi resta cotesta Isola».[5]

 

Ma prima di arrivare a Capraia il francescano dovette recarsi a Roma per ottenere la licenza di poter amministrare i sacramenti e poi rientrare a Genova.[6] Il 26 settembre il Magistrato di Corsica poteva finalmente comunicare che il « Prete Ministro Gio Felice Luraghi da Brescia» si stava imbarcando per Capraia, che gli era stato assegnato uno stipendio di Lire 24 al mese mentre i Padri del Comune avrebbero dovuto fornirgli l’abitazione, visto i benefici spirituali che la popolazione ne avrebbe ricevuto.[7]

 

  1. Nasce l’idea di erigere un convento francescano

 

Dopo due mesi dall’arrivo del primo francescano in Capraia, i Padri del Comune scrissero a Genova che, pur ringraziando per l’invio del cappellano, la Comunità aveva concluso di voler avere in permanenza «una religione cioè quella di San Francesco Menori conventuali e quello si aspetta a noi darli la Chiesa della Madonna del Porto, ma l’habitatione sia qui dall’alto alla Capella di S. Giacomo, luogo libero che pare non patisca eccezione. Resta solo di havere il placet di VV.SS. Serenissime del che umilmente supplichiamo et insieme a denterpore l’autorità loro scrivendo al Vescovo di Massa che se ne voglia contentare».[8] La richiesta non venne accolta.

Franciscan_friarIl padre Luraghi non rimase a lungo a Capraia perché verso la fine del 1629 il Commissario sollecitava l’inviò di un nuovo cappellano che, però, Genova aveva difficoltà a reclutare.[9]

Nel frattempo, fu costretto a sostare a Capraia «il Prete fra Gio Batta di Chiavari predicatore e lettore de Minori Osservanti partito da Roma con un bregantino de Livorno per venire a cotesta Città [Genova] e per li tristi tempi fu necessitato fermar qui alquanti giorni». Il frate si innamorò dell’isola e quando arrivò a Genova scrisse al commissario Cesare Doria per convincerlo a richiederlo come cappellano della guarnigione  «pensando con la venuta sua di fabricare un monasterio della sua religione in quest’isola per gloria de nostro Signore, di San Francesco et a beneficio de questo populo». Evidentemente il frate, che aveva avuto fino ad allora una vita avventurosa, era stato addirittura a Costantinopoli, aveva trovato nell’isola la quiete che bene si confaceva alla regola del suo ordine. 

Il commissario, che aveva ricevuto un’ottima impressione del frate, parlò delle proposte del frate con i Padri del Comune che indissero un’assemblea nella quale « si è congregato il Populo tutto o almeno la magior parte di essi, e trattato di questo negotio, e tutti concordi desiderano che ne risulti l’effetto, offerendosi pronti per quanto puo venire dalle loro persone di affaticarsi nell’edificio del monasterio e di quanto da essi possi venire». Il commissario riferì il tutto al Magistrato di Corsica raccomandando di accettare le proposte del frate ma ottenne una risposta del tutto negativa.[10]

Con la lettera di fra Gio Batta da Chiavari per la prima volta i frati minori osservanti espressero il loro desiderio di aprire un monastero nell’isola.

I frati minori osservanti erano uno dei tre gruppi sorti nel primitivo ordine francescano dopo la morte del fondatore. Essi erano caratterizzati dall’aspirazione a una vita  ritirata e da un rigoroso controllo sull’uso dei beni materiali. Venivano anche chiamati zoccolanti per le loro caratteristiche calzature. L’ordine era diviso in province e quella di Corsica, tra il Cinquecento e Seicento, aveva avuto un grande sviluppo nell’isola dove possedeva numerose chiese e conventi.

Nell’ottobre del 1631 da Genova venne inviato un nuovo cappellano: era il padre Bernardo Galiano di Ventimiglia de l’ordine de minori conventuali che rimase nell’isola fino al gennaio del 1634.[11] In questo periodo si installarono a Capraia anche tre monache professe dell’ordine francescano che però non vi rimasero a lungo in quanto le poche elemosine che riuscivano a raccogliere dagli abitanti, «tutti poveri e con carico di figlioli», non permettevano loro di sostenersi.[12]

Nel luglio del 1634 al padre Galiano successe nella carica di cappellano del presidio il sacerdote secolare Fabritio Vincenti fino a quando nel luglio del 1639 fu incaricato di sostituirlo il prete capraiese Francesco Morgana.[13] Questi mantenne l’incarico per diversi decenni.

 

  1. Fra Giorgio convince i Capraiesi ad erigere un convento francescano. Forte opposizione.

 

Nel 1654 i frati minori della provincia di Corsica inviarono padre Giorgio della Bastia a Capraia per vedere se era possibile realizzare nell’isola un loro convento.[14] Padre Giorgio riuscì a convincere numerosi capraiesi a chiedere l’edificazione di una chiesa e di un convento. Probabilmente non fu difficile trovare dei Capraiesi favorevoli alla sua proposta anche perché da diversi anni, come abbiamo già visto, essi avevano trovato nei frati un comportamento più consono alla vita religiosa in quanto la maggior parte dei pievani, in modo particolare l’ultimo Agostino Morta, avevano avuto una condotta poco confacente alla loro missione.

Non tutti i Capraiesi furono convinti dalle parole del frate e si creò un partito avverso che era fomentato dal pievano e dal cappellano, che vedevano nella presenza dei frati una minaccia alle loro prebende.

Il 15 gennaio 1655 i tre Padri del Comune, Pietro Batta da Nove, Giacomo Sabbadino, e Antonio Colombano, stipularono davanti al cancelliere del presidio, che fungeva da notaio, un atto tra loro, in nome della Comunità, e il padre Giorgio, in nome della provincia di Corsica dei frati minori, con cui si impegnavano a «in forma per essi loro eredi, e successori in perpetuo di provvedere, governare, e mantenere di elemosine detto Convento col numero di dodeci frati continui di vitto, vestito, e ogni altra cosa necessaria per il loro governo e mantenimento».[15] È da notare che i Padri del Comune erano in scadenza e che nell’atto non si faceva alcun riferimento ad una delibera della Comunità in una materia di tanta importanza. L’atto fu inviato a Roma alla Sacra Congregazione dei Vescovi per ottenere la licenza di costruire il convento.

L’iniziativa del francescano suscitò non poche riserve a Roma e a Genova, tanto che nel novembre frate Giorgio fu costretto a scrivere al Magistrato di Corsica a Genova per smentire le male voci che si erano propagate, allegando copia di una risoluzione della Comunità riunita in assemblea, alla presenza del Commissario e del padre Giorgio, con la quale era stato deciso di inviare a Roma un procuratore perché ottenesse dalla Sacra Congregazione dei Vescovi l’approvazione per fondare il convento. La delibera della Comunità venne approvata a stragrande maggioranza, solo sei capifamiglia votarono contro, Giustiniano e Domenico Solari figli di Nicola, Gio q. Michele Solaro, Bartolomeo Ghio, Gio Batta Zizone, e Damiano Morgana.[16]

Tra la popolazione evidentemente non tutti erano d’accordo nell’impegnare la comunità a sostenere il mantenimento di dodici frati. Non a caso tra i sei che si opposero c’era un Morgana, probabilmente parente del cappellano il quale vedeva minacciato il suo posto dall’arrivo di questo numeroso stuolo di frati.

Nel febbraio il pievano Morta, a causa del suo comportamento peccaminoso, fu rimosso dal vescovo che al suo posto, come economo, nominò il padre Giorgio, che ovviamente vide aumentare la sua influenza sui capraiesi favorevoli alla costruzione del convento.

I nuovi Padri del Comune, Domenico Bargone, Tomaso Colombano, e Paolo Costanza, il 3 maggio del 1656, sottoscrissero un nuovo atto nel quale oltre al mantenimento dei dodici religiosi di S. Francesco si impegnavano a costruire il convento in un periodo di sei anni secondo il disegno che allegavano all’atto.[17] Il nuovo atto venne redatto a seguito delle pressioni del padre Giorgio e senza una formale approvazione da parte dell’assemblea della Comunità.

Nell’ottobre del 1656 il padre Giorgio dovette assentarsi da Capraia perché richiamato a Bastia dal padre provinciale e allora il vescovo diede incarico al cappellano Francesco Morgana di sostituirlo temporaneamente. [18]

Intanto il Magistrato di Corsica aveva inviato a Capraia Gio Girolamo Gentile per scegliere la località dove doveva sorgere il convento. Dopo essersi consultato con i Padri del Comune e con la popolazione scelse la località del Ferraglione [19]

073Basso-Paese e Porto- 1843.-Convento

Il partito contrario alla costruzione del Convento intanto faceva nuovi proseliti tanto che il 29 aprile del 1657 i nuovi Padri del Comune Bartolomeo Princivalle, Giovanni Sussone e Giovanni q. Gregorio furono costretti a convocare l’assemblea della Comunità alla presenza del commissario Oberto Castiglione. Il verbale dell’assemblea venne firmato sia dai Padri del Comune sia da cinquanta capifamiglia che dichiararono di non essere stati messi al corrente degli obblighi presi dai precedenti Padri del Comune, obblighi presi senza consultare la Comunità, e che pertanto « dichiarano e dicono con suo giuramento tocate le scritture che dell’instrumento statto fatto di obligo per fare il Convento, che non ne sano cosa alcuna ne sono statti chiamati né chiamata la Comunità e popolo a consentire a detto obligo, e che non ano saputo altro solo che di quanto si tratta adesso che percio non vogliono li sotto notati esere tenuti ne obligati ad alcuna cosa che consti per detto instrumento».[20] Il documento non è un vero e proprio verbale di assemblea ma una dichiarazione e non risulta che essa sia stata messa ai voti.

Il giorno successivo il Commissario Oberto Castiglione ricevette una petizione firmata da Nicolo Solaro, Bartolomeo Ghio, Stefano Compiano, Gregorio Sessino, Domenico Morgana, Paolo Morgana, Stefano Sobrero e Domenico Solaro, tutti firmatari della dichiarazione, che ribadirono che quanto stipulato dai precedenti Padri del Comune e padre Giorgio era stato fatto in piena segretezza, che il padre Giorgio stava spargendo la voce che Roma aveva data l’approvazione per la costruzione, e che non si era tenuto conto della situazione economica del paese dove «ci sono per cinquanta famiglie che non hano pane vivendo di erbe et altretanti che vivono e mangono pane tutto a debito e per mostrare a V.S. Illustrissima maggiormente la nostra poverta li dichiamo come noi per nostra inposibilita mandiamo discalse e vestite di sacco le nostre done».[21]

Il commissario, preso atto della delibera dell’assemblea e della petizione il primo maggio, inviò il tutto al Magistrato di Corsica.[22]

Ma, il 2 maggio, i Padri del Comune che pure avevano firmato la dichiarazione dell’assemblea del 29 aprile scrissero al Magistrato di Corsica confermando gli impegni presi dai loro predecessori per l’erezione del convento e il mantenimento dei dodici frati, ed affermarono di aver sottoscritto la delibera sotto le minacce di pochi mossi « da passioni e per interessi particolari», e che la supplica del 30 aprile era falsa.[23]

Il 12 maggio Agostino Franzone, console della Repubblica di Genova presso il Vaticano, che da poco era giunto a Roma, comunicò al Magistrato di Corsica di aver trovato tra le carte lasciate dal suo predecessore la domanda dei Capraiesi per il convento e di essersi subito attivato con monsignor Alberici, segretario della Sacra Congregazione dei Vescovi per ottenere l’approvazione. Alla richiesta del console il segretario rispose che i cardinali della Congregazione avevano «qualche dificulta in condiscendere all’instanza per dubio ch’il luogo non habbia tanti habitanti che coll’elemosine da cavarsi da questi li possano mantenere dodici Religiosi ch’è il principale fondamento del negotio» e che era necessario apportare dei chiarimenti. Il console chiedeva pertanto che gli venisse comunicato il numero degli abitanti dell’isola e le loro capacità economiche. Se queste non fossero state sufficienti, suggeriva un impegno da parte del Magistrato di eventualmente sopperire con un suo sostegno economico.[24]

Non contento della risposta di monsignor Alberici, il console si recò presso la Congregazione per esaminare tutti i documenti della pratica. Vi trovò tutta la corrispondenza intercorsa e le delibere della Congregazione che non voleva dare l’approvazione, anche se era stato confermato l’impegno di mantenere i dodici frati e lasciarli liberi di questuare ed era stato comunicato che gli abitanti erano più di novecento. Per sbloccare la situazione il console ancora una volta suggeriva di inviare un impegno formale di mantenere in ogni modo i dodici frati.[25]

Intanto il padre Giorgio, che era rientrato a Capraia, scrisse una sconsolata lettera al Doge nella quale rifacendosi alla resistenza che aveva ricevuto alla sua proposta da parte del pievano Morta e del cappellano Morgana, entrambi preoccupati di perdere i loro benefici, alle malignità e false informazioni che alcuni abitanti, collegati con i due preti, avevano inviato a Roma facendo ritardare l’approvazione, chiedeva l’autorizzazione a lasciare l’isola per ritornarsene in Corsica.[26]

A Roma continuava a persistere il dubbio sulla capacità dei Capraiesi di poter mantenere dodici frati, e giustamente chiesero un parere a Bandino Accarigi, vescovo di Massa e Populonia. Questi prima di mandare il suo parere a Roma inviò il 19 gennaio del 1658 una lettera pastorale ai Capraiesi con la quale li volle mettere in guardia dal fare facili promesse per il mantenimento di dodici frati perché «il mantenere dodici frati, ossia Religiosi ricerca assai, e vediamo, che alla longa si mantengano appena nelle città di buona considerazione. Crediamo certamente che pel principio grandi sono le pietà loro, e bastevoli a sostenerli, e grande lo zelo de’ Padri in mantenervi famiglia di buon esempio, e di loro sodisfazione, ma li ricordiamo ancora, che all’usanza delle cose umane la carità dopo qualche tempo si raffredda, ed a loro forse rincrescerà il trovarsi con questo agravio, ed all padri, che si trovassero manco ben trattati non sarebbe più amore il mandarvi soggetti di buon esempio, e di loro soddisfazione, e di ricevere più scandalo, che ajuto».[27]

Ma i Capraiesi non desistettero dal loro proposito e 29 giugno ancora una volta i Padri del Comune, Simone Cuneo, Filippo Sabadino e Pasqualino Solaro scrissero al doge e al Senato di Genova affinché ottenessero da Roma la licenza per costruire, che, secondo loro, veniva ritardata da oltre quattro anni « per essere da qualche maligno stato per suoi indiretti fini esposto in Roma essere imposibile l’eriger detto Monastero».[28]

Il 18 luglio 1658 il Magistrato di Corsica scrisse al console della Repubblica presso il Vaticano affinché indagasse sui motivi che stavano ritardando l’approvazione nonostante avesse dato la sua approvazione e avesse presentato delle istanze direttamente al Papa.[29]

La Comunità di Capraia inviò, allora, un’ambasceria alla Sacra Congregazione dei vescovi che consegnò al segretario copia di tutta la documentazione relativa alle varie approvazioni delle assemblee dei Capraiesi e delle autorizzazioni ricevuta da Genova. Nella lettera di accompagnamento si ribadiva che l’isola, distante 30 miglia dalla Corsica, con più di 800 anime, necessitava della presenza dei frati per «il grandissimo bisogno che tengono di chi li somministri i Sanctissimi Sacramenti della Chiesa et altre così necessarie all’Anima». Si faceva inoltre presente che il luogo dove doveva sorgere il convento era stato già deciso, che c’era abbondanza di pietre per la costruzione e che il Senato di Genova si era impegnato e versare 80 scudi all’anno durante la costruzione e che i Capraiesi si impegnavano a mantenere dodici frati.

Nel novembre del 1659 il nuovo commissario Giacomo Suffio fu costretto a scrivere a Genova per fare presente che il padre Giorgio gli stava mancando di rispetto e che usava i soldi raccolti per l’erezione del convento al fine di comprare voti per far eleggere nella prossima assemblea di gennaio dei Padri del Comune a lui favorevoli.[30]

 

  1. La costruzione della chiesa e del convento

 

Dopo tanti anni di attesa finalmente il 20 febbraio 1660 la Sacra Congregazione dei Vescovi autorizzava la costruzione di un convento con chiesa, campanile coro, sacrestia, chiostro, dormitorio e refettorio dotati di suppellettili sacre e non, atte a soddisfare le esigenze abitative di almeno dodici frati, così come prescritto dalle norme stabilite dai precedenti papi.[31]

 P1170389-Sabbadino 1660

I lavori di costruzione iniziarono nel mese di aprile del 1660 partendo dall’abside della chiesa che fu eretta da Filippo Sabadino come attesta la seguente lapide tuttora esistente: «Ad perpettua rei memoria/Hunc chorum Filippus Sabbatinus/ A Capraia Aere proprio funditus/ erexit et edificavit/ A dei gloria, et Amore/Divi Antonij de Padua/ Anno D.ni MDCLX/ Mense Aprilis».[32]

Il 31 marzo 1661 giunse a Capraia in visita pastorale il vescovo Bandino Accarigi che volendo dare esecuzioni agli ordini contenuti nella bolla papale concesse la licenza per la costruzione della chiesa e del convento. Il giorno successivo benedì i lavori, già iniziati, della chiesa. Inizialmente i lavori procedettero piuttosto speditamente tanto che il 12 maggio del 1661 Filippo Sabatino fu in grado di costruire per se e i propri eredi una tomba nel presbiterio accanto al luogo nella  dove doveva sorgere l’altare maggiore della chiesa.

P1170384-Sabbadino tomba

Ma i lavori durarono più a lungo dei sei anni previsti. In una lettera anonima del 1667 si affermava che della chiesa era stato terminata l’abside e le mura di due cappelle con volta senza tetto, mentre mancava la volta della navata tra le due cappelle. Anche la costruzione del convento era in ritardo: uno dei due bracci era coperto da lastre di ardesia (abbaini) solo per metà e mancavano i tramezzi e le scale, l’altro braccio era solo un muretto di pochi palmi che se alzato poteva contenere al massimo una cella mentre ne erano previste sei. La lettera anonima, scritta evidentemente dal partito avverso ai frati, metteva in rilievo che anche i fondi per la costruzione erano scarsi e che i frati erano pieni di debiti fatti per la costruzione.[33]

Che i lavori fossero in ritardo fu confermato nello stesso anno da monsignor Paolo Pecci, vescovo di Massa e Populonia, nella sua Relatio ad Limina del 19 novembre 1686, nella quale scrisse che i lavori del convento erano quasi terminati.[34]

Mentre la chiesa nel corso dei secoli mantenne il suo aspetto originale, lo stesso non può dirsi del convento in quanto tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento la Colonia Penale, che vi aveva installato la sua direzione apportò notevoli modifiche.Una carta della fine del Settecento e  due rilievi dell’Ottocento mostrano che il convento era formato da due corpi a elle che insieme al muro della chiesa racchiudevano per tre lati un chiostro o giardino. Il quarto lato, che guardava la cala di San Francesco era chiuso da un muro. Negli ultimi decenni dell’Ottocento il muro fu rimpiazzato dalla Colonia Penale con un fabbricato a due piani, utilizzato come uffici. Un secondo corpo fu costruito successivamente, allineato al precedente, sempre sul fronte che guarda la cala di San Francesco (Vedi la foto aerea).[35] È interessante notare che nelle due carte antiche, appare chiaramente che al convento fosse annesso un orto.

 

S. Basso, Piano del Villaggio, Forte e Porto di Capraja, 1843 (particolare)

S. Basso, Piano del Villaggio, Forte e Porto di Capraja, 1843 (particolare)

 

IGM, Album dei porti del Regno, 1866 (particolare)

IGM, Album dei porti del Regno, 1866 (particolare)

 

Veduta aerea del complesso chiesa e convento, oggi (da Google Map)

Veduta aerea del complesso chiesa e convento, oggi (da Google Map)

                

Nel 1707 il convento venne accresciuto di un braccio di dormitorio.[36]

Da un sopraluogo del Genio Civile del 1862 sappiamo che il convento era composto da 22 ambienti e che possedeva una cisterna d’acqua che misurava una larghezza in circonferenza di metri dieci ed una profondità di metri sette e cinquanta.[37]

 

  1. La chiesa

 La chiesa, tuttora leggibile nei suoi elementi originari, era formata da una navata centrale di forma rettangolare e da sei cappelle laterali rivolte verso la navata centrale. Al centro del presbiterio c’era l’altare maggiore. Sulla destra del presbiterio c’era un vano dotato di scala per accedere sia all’organo che al convento.Sul lato sinistro c’era la sacrestia.

Diverse famiglie capraiesi, tra le più benestanti, pensarono di abbellire la chiesa facendo decorare diverse cappelle laterali: nel 1677 i fratelli De Gregori fecero decorare la terza cappella a destra dedicandola all’Immacolata Concezione; nel 1681 Agostino Sabbadino e i figli donarono l’altare maggiore; nel 1696 Gio Batta Bargone fece decorare la prima cappella a sinistra dedicandola alla Madonna della Pietà[38] e nello stesso anno Giovanni Bargone e il nipote Stefano decorarono la seconda cappella a sinistra dedicandola alla Vergine Assunta. Sul fronte della chiesa fu posto lo stemma del Senato della Repubblica di Genova in ringraziamento del contributo dato per la sua costruzione.[39]  Il campanile, molto semplice era dotato di tre campane.

Nel 1705 i frati, avendo ottenuto la cappellania della guarnigione del forte si impegnarono ad accrescere il convento con un braccio di dormitorio e a far costruire da maestro forastiere le sedie a torno di tutto il coro [cantoria] con una spesa di circa Lire cinquecento.[40]

Nei primi mesi del 1747 il guardiano del convento affidò la realizzazione dell’organo all’organista lombardo Giuseppe Lazzari che operava da qualche tempo a Bastia dove aveva impiantato un laboratorio al quale collaborava come ebanista Giovanni Abbate, di origini tedesche.

L’organo doveva essere consegnato a Capraia nell’ottobre del 1747 ma la sua costruzione subì un ritardo a causa dello scarso impegno dell’ebanista che lavorava quando li piaceva.

Per ovviare al ritardo nella consegna il Lazzari, oltre al suo lavoro di organista, fu costretto a effettuare lavori di falegnameria sia a Bastia sia a Capraia durante l’installazione dell’organo. L’organo fu consegnato solamente nel febbraio del 1748 e fu posto in alto in fondo al presbiterio.[41]

 Nel  corso degli anni molti furono gli oggetti e suppellettili religiosi donati dai Capraiesi alla chiesa e una pallida testimonianza ci è dato dall’Inventario che fu stilato nel 1867 quando i frati abbandonarono la chiesa.[42]

 

Chiesa di Sant’Antonio, cappella Bargone  (foto G. Santeusanio, 1997)

Chiesa di Sant’Antonio, cappella Bargone
(foto G. Santeusanio, 1997)

 

  1. La vita dei francescani dopo la costruzione del convento

 Nonostante il convento dei frati fosse ormai un dato di fatto, non cessarono le controversie tra i capraiesi, tra il partito favorevole ai frati e quello, capeggiato dal pievano e dal cappellano Morgana, a loro contrari. Il primo partito cercava di approfittare della loro presenza per farli partecipi delle attività religiose dell’isola come accadde nel 1686 quando i Padri del Comune chiesero a Genova di permettere ai frati di aiutare il pievano nelle confessioni di «mille anime e più» nelle feste natalizie.[43]

Il secondo partito cercò di frenare l’invadenza dei frati che cercavano di appropriarsi delle pubbliche celebrazioni di alcune festività che avevano un’importanza particolare per i Capraiesi.

La disputa ebbe origine dalla proibizione, sotto pena di scomunica, imposta dal pievano Vittore Battistini alla Confraternita di Santa Croce di «fare la notte di Giovedì Santo la cena in memoria della Passione di Nostro Signore memoria stata lassata da nostri antichi».[44] Ma ben presto l’attrito tra il pievano e i frati divenne più esplicito quando il pievano volle regolamentare la partecipazione dei frati alla processione di Sant’Antonio, che lo stesso pievano aveva istituito nel 1660. Per risolvere le due dispute dovettero intervenire il governatore di Corsica, il vescovo di Massa Marittima e il provinciale dei frati minori di Corsica. Il pievano in una lettera al Magistrato di Corsica spiegò che per la proibizione della cena aveva ubbidito alle Costituzioni Sinodali inviategli dal vescovo e che aveva illustrate durante la messa. Per quanto riguardava la processione il pievano si rifece ai decreti della Santa Congregazione sui poteri dei parroci, che proibivano « a regolari e confraternite far processioni, extra claustra sine assistentia aut licentia Parochi».

Nel 1687 avvicinandosi la data della processione il vescovo inviò una sua lettera ai Padri del Comune nella quale spiegava che «non possono pretendere cotesti Frati di uscire de limiti del loro Convento nelle Processioni straordinarie, come quella per la festa di S. Antonio; e però di concordia con i medesmi Frati decretai a loro instanza che stendendosi con la Processione nel luogo v’intervenisse il Piovano con stola come ogni raggione si chiede. Mi dispiace però sentire, che cotesti Frati, non ostante il concertato, motivino novità, e spesso così seguira in altre materie ancora, se costì continuerà stare Fra Gregorio che in tutte le occasioni si mostra poco capace delle materie ecclesiastiche, ma bensì molto inquieto di natura».[45]

Ma nonostante l’intervento del vescovo, come ebbe a riferire il pievano, le cose non andarono come previsto:

 

 «Il giorno di detta festa trattando meco i P.P. del Comune della processione li dissi, essendovi anche il Sig. Cancelliero presente, che non si devono far nuove capitolazioni dove militano decreti della Sacra Congregazzione, di Monsignor Ill. mo Vescovo e di S.E. e con la consuetudine di 27 anni; che se i Padri volevano far come il solito io ero contento; se poi essi volevano fare la processione senza Frati, io sarebbe andato con la compagnia sino ai limiti del Convento a ricevere la statua, e fata la processione mi ne sarebbe ritornato senza entrare nella loro chiesa, acciò la processione non si facesse senza sacerdote e di tutto quanto si è detto è stato capace l’Ill.mo Sig. Commissario. Ma non ostante ciò, ne tutte le raggioni sudette la Compagnia di S. Croce usci senza mia sapputa, e ricevuta la statua dal Prete Guardiano fecero la processione per tutto il paese, portando anche lo stendardo de Frati».[46]

 

Sulle due dispute intervenne allora come paciere il Commissario Gio Batta Federici che sulla prima propose «che debba il Cappellano o sia il Piovano benedire la robba che vi sarà e farla dispensare dal Priore, il tutto in conformità del rito anticho, con questo però che dispensata che sarà, se la debba ogn’uno portare fuori dal oratorio, e farne loro cio che meglio parerà», mentre sulla seconda, osservato che «per le pretenzioni, che vertono tra il Piovano et li fratti ne debba star perdente il Popolo, con non poter eseguire quel tanto hanno di voto, essendo detto Santo Protettore di questa Comunità, et hanno uso espresso di far in detto giorno detta processione», propose che il pievano e i frati decidessero tra loro come comportarsi «e far detta processione con quella quiete dovuta, si per compire al voto di questa Comunità, come per la soddisfazione di tutto il Popolo, che per mantenire tanto il Piovano quanto li frati danno li loro sudori».[47]

Nel frattempo i frati, con un decreto del Magistrato di Corsica del sette marzo 1686 ottennero di poter sostituire in caso di assenza il cappellano Francesco Morgana che si spense, ormai vecchio e malato, nel novembre del 1695. Alla morte del pievano i frati vennero confermati nella cappellania del forte con una elemosina di Lire 24 al mese, incarico che mantennero per quasi tutto il periodo della loro permanenza nell’isola.[48]

L’organico dei frati nel convento era di sei intorno al 1670 e poi aumentò rapidamente tanto che nel 1720 c’erano a Capraia dieci frati ordinati e 3 fratelli laici.[49]Il convento era gestito da un padre guardiano, carica che ruotava tra i diversi confratelli. Diversi frati furono capraiesi, tra di essi padre Chiama nel 1686, padre Gregorio guardiano nel 1686 e frate nel 1710, padre Stefano guardiano nel 1717-1720. La maggior parte dei frati era originaria della Corsica.

I frati vivevano con le elemosine che ricevevano dai Capraiesi, con la paga annuale di Lire 480 per la cappellania del forte e con le offerte che ricevevano quando davano ospitalità a quanti capitati nell’isola, spesso per il cattivo tempo, non trovavano altro ricovero che il convento.

Tra gli ospiti del convento, nel 1730, vi fu il frate, futuro santo, Teofilo di Corte che in viaggio da Livorno alla Corsica fu costretto dal mare cattivo a trovare rifugio nell’isola e celebrò una messa conventuale nella Chiesa. 

Nella chiesa predicò molte volte Paolo Francesco Danei, fondatore dell’ordine dei Passionisti e futuro santo, durante una missione nell’isola nei giorni 20-29 giugno 1735.[50]

Nel settembre del 1756, la Repubblica di Genova, decise di occupare l’antica chiesa di S. Nicola nel Forte per accasermarvi le truppe inviate a Capraia per il timore di una invasione dei Corsi. Al parroco fu ingiunto di svolgere le funzioni religiose della parrocchia nella chiesa di S. Antonio.[51] Anche la confraternita di S. Croce dovette abbandonare il suo oratorio nel Forte e fu costretta a svolgere le sue funzioni nella chiesa di S. Antonio. Non fu una convivenza facile e sorsero attriti tra i frati, il parroco e il priore della confraternita sugli orari delle funzioni e sulla destinazione degli altari. La difficile convivenza ebbe termine nel maggio del 1760 quando fu inaugurata la nuove parrocchiale di S. Nicola fuori del Forte.

Nel 1765 il convento ospitò anche James Boswell, uno scrittore inglese, che si era recato in Corsica per incontrare Pasquale Paoli. Il brigantino con il quale aveva lasciato la Corsica per fare ritorno in Liguria fu costretto dai venti a rifugiarsi a Capraia. Poiché il letto dell’unica locanda era molto scomodo chiese ospitalità ai frati che lo accolsero volentieri, poiché avevano sempre una camera a disposizione per gli ospiti. Nei suoi appunti di viaggio ci ha lasciato alcune interessanti osservazioni sulla vita del convento:

 «Sabato 23 Novembre – Ieri mattina ho dormito perfettamente. Mi sono alzato da solo, sebbene a fatica; ho letto e ho scritto fino alle 10, poi ho fatto colazione nella stanza del Padre Guardiano. Ho avuto del miele eccellente. … Il Convento riceve 4 Lire e ½ al giorno per le messe.Riceve del pane come Elemosina 2 giorni alla settimana, e quest’anno ha ricevuto come elemosina del vino per metà anno, ma è obbligato a comprare tutto il resto. I monaci talvolta devono chiedere dei prestiti, e per questo hanno il loro Procuratore. Ogni sera 6 o 7 di loro siedono con me. Ciascuno portò le sue cose buone. Riferendomi ai biscotti Sardi, dissi “Sarda il matino, sarda la sera”. Tutti pensarono che fosse una bella battuta. I buoni Padri praticamente non avevano del pane. Essi non vanno a fare la preghiera di mezzanotte per mancanza di legna e d’olio. Ero tranquillo e rilassato.

Lunedì 25 Novembre – Ieri mattina ho ascoltato la messa celebrata dal Padre Guardiano. La chiesa è così povera che i Chierichetti portavano l’olio e il vino da un altare all’altro. … L’organo della chiesa mi diede un senso di malinconia».[52]

 Nell’ottobre del 1766, facendosi sempre più insistenti le voci di un imminente sbarco dei Corsi, il commissario Domenico Centutrione decise di espellere dall’isola tre frati di origine corsa: fra Isaia di Pigna, fra Antonio Maria Durante di Bastia, e il chierico Francesco di Biguglia, sospettati di connivenza con i ribelli corsi.

 

  1. Decadenza e chiusura del convento

                        

Nel 1767 inizia per Capraia la lunga decadenza della sua economia e la diminuzione degli abitanti poiché l’isola a più riprese diventa preda dei nemici di Genova.

Nel febbraio del 1767 l’isola viene occupata dalle truppe di Pasquale Paoli che nel maggio costrinsero la guarnigione del forte ad arrendersi. I corsi lasciarono l’isola nel settembre del 1768, perché sconfitti in Corsica dai francesi. L’isola venne così occupata dai Francesi che la restituirono a Genova nel 1771 in base all’art. 6 del trattato di Versailles del 1768.

Poiché Capraia e Corsica facevano ormai parte di due stati diversi nel 1786 la giurisdizione ecclesiastica del convento passò alla provincia ligure dei padri minori.

Quando l’isola di Capraia fu presa dai Francesi nel 1800 e poi annessa al dipartimento del Golo, i francescani vennero allontanati dal convento che fu trasformato in ospedale e quartiere militare per la guarnigione francese.

Dopo il trattato di Vienna del 1815 alla caduta di Napoleone, i territori che l’antica Repubblica di Genova possedeva prima della rivoluzione francese vennero annessi al regno di Sardegna: Capraia fu occupata dalle truppe piemontesi il 16 ottobre 1815 ed entrò a far parte del ducato di Genova.

I frati francescani poterono cosi ritornare nel loro convento ma come scrisse il cardinale Carlo Ferrero della Marmora al re Carlo Alberto nel 1828 il convento e la chiesa si erano nel frattempo deteriorati e a stento i frati riuscivano a sopravvivere per la diminuzione delle elemosine a seguito delle precarie condizioni economiche degli abitanti:

 «… Quanto alle scuole, insegnano le prime, e gratuitamente, li Religiosi del Convento. In tal Convento adunque, del quale s’implorano pronte riparazioni a scanso di maggior rovine, e spese, ed un qualche maggior mezzo di sussistenza pei Religiosi, dacchè fu ridotto a sole lire annue 180. l’onorario, che prima avevano di 480. pel servizio, che prestavano alla Cappellania Militare del Forte, e per esservisi stato Ospedale, e Quartier militare francese, e per esservisi mai più fatte riparazioni alli tetti, alle porte, e finestre, si degradò talmente tutto il Fabbricato del Convento, e dell’antichissima sua Chiesa di Monaci, che v’erano stati negli andati secoli, che sostiensi oggidì appena per via di puntelli da ogni lato, e ben poche sale trovansi abitabili senza rischio le parti della Fabbrica Intiera ; e la stagnazione del commercio in tal parte del Mediterraneo rendendo poveri anche li meno disagiati, trovansi dessi impotenti alle riparazioni volute al Convento , e alla Parrocchia.

Dopo di varij già sporti ricorsi, e fatte proteste di abbandonare il Convento, se non ottenevano sussidj per le riparazioni, e per un aumento di annua sussistenza, lasciati tre soli Religiosi nella Isola, se ne sono recati due a Genova, il Guardiano cioè, ed un’altro per sollecitare sussidj, e così faranno in breve gli altri tre, se si differirà ancora a mandargliene.

La Chiesa adunque sdrucita da ogni parte, e puntellata, col suo campanile diroccato in due volte dal fulmine, ed il Convento pur bisognoso di tutto da cima in fondo, vogliono una pronta ristaurazione anche a fronte della impropria entrante stagione. A lire 3000. ammonta il calcolo del Capo Mastro fatto con il Sindaco. Una perizia, se si volesse di un architetto, forza sarebbe di procacciarsi da Genova, ma tempo vi vorrebbe, e spesa di lire trecento da più a meno, epperciò al Padre Guardiano (Fra Agostino da Nicola), che è ora a Genova, e che si esibisce di recarsi a Torino, perchè potrebbe da Noi farsi dare un a buon conto il più presto per quelle operazioni, che in quel clima non tanto freddo possono anche farsi nell’inverno, e per le provviste, e trasporti delli materiali necessarj, epperciò crederebbe il Cardinale, che potressimo quando siasi disporci a somministrare una tal quale provvisionale in vista degli esposti bisogni, e della lettera degli undici d’ottobre della Regia Segreteria degli Interni, e della convenienza ancora di fare sperimentare a’ que’ poveri nuovi sudditi di Sua Maestà le pie, e caritatevoli di Lei premure pei loro più volte rappresentati urgenti bisogni Religiosi.

E quanto poi all’aumento di annua sussistenza per essi Minori Osservanti non potendo in Paese così miserabile vivere li 5 residui Regolari destinativi con sole 180. lire all’anno, crede il Cardinale, che sarà da trattare colla Regia Segreteria di Guerra per ristabilirvi il primiero onorario delle annue lire 480, che già erano fissate per la detta Cappellania Militare, cui essi servono tuttora».[53]

Nel 1847, avendo il parrocco Lionardo Antonino Sasso rinunciato all’incarico, la cura della parrocchia venne affidata ai guardiani del convento, che mantennero l’incarico fino alla fine del 1856.

Con la legge del 29 maggio 1855 del Regno di Sardegna l’ordine dei frati minori osservanti venne soppresso. In attesa dell’acquisizione del convento e della chiesa da parte del demanio dello  stato sardo, tre frati rimasero nel convento.

 Nel 1863 il delegato governativo Cesare Gallo, nominato responsabile del domicilio coatto di Capraia, notò il convento come possibile alloggio dei coatti. Ai primi di novembre il delegato visitò il convento con un assistente del Genio Civile per redigere una perizia dei lavori da farsi con la quale si concluse che vi si potevano accogliere fino a trecento coatti. Con un decreto del 14 novembre 1863 il Ministero di Giustizia e Culti stabilì che entro dieci giorni i frati dovessero lasciare il convento e unirsi a quelli del convento di Bollano (La Spezia). Il 23 novembre il giudice di Capraia notificò ai frati l’ordine di abbandonare il convento e la chiesa. Il 7 dicembre venne redatto il verbale di consegna del convento e della chiesa con lo stato di fatto e l’inventario dei mobili ed arredi preziosi che vi si trovavano. Fra Gaspare, guardiano del convento, lasciò subito l’isola mentre gli altri frati partirono nel gennaio del 1864. Nel giugno del 1867 la chiesa fu ceduta dal Demanio al Comune di Capraia.[54]

Ebbe fine così dopo due secoli la presenza dei frati minori di San Francesco nell’isola di Capraia.

Il convento fu occupato dai coatti fino 20 settembre 1868 quando un uragano di vento provocò la rottura della trave di sostegno del tetto.  Il 30 gennaio 1869 il convento venne restituito al demanio dello stato.[55]

Appendice

 

  1. Atto notarile del 15 gennaio 1655

 

“In nomine Domine Amen. Essendo vero, che dalli Huomini, Popoli e Comunità del Presidio, terra, e paese di Capraia più volte sia stata fatta instanza  e richiesta alli Padri Ministro Provinciale, e Deffinitori della Provincia di Corsica delli Minori Osservanti di San Francesco, acciò li compiacessero di far fabricare in detta Isola e paese di Capraia per loro special divotione un Convento dell’istessa Religione, et havendo essi Padri dato intelligenza, e promesso di condiscendere alla loro divota  e giusta richiesta, con che prima essi Huomini, popoli e Comunità di Capraia promettano, e si obblighino in forma per essi loro eredi, e successori in perpetuo di provvedere, governare, e mantenere di elemosine  detto Convento col numero di dodeci frati continui di vitto, vestito, e ogni altra cosa necessaria per il loro governo e mantenimento ad effetto che restino sicuri d’essere provisti come sopra.

 Vuolendo li sudetti Huomini, popoli, e Comunità di Capraia assicurare di provedere continuamente in perpetuo detto Convento col numero di dodeci frati come sopra perciò costituiti alla presenza di me Notaro e testimonij infrascritti tutti gli Huomini nel solito luogo, ove si congregano per determinare qualsivoglia cosa spettante al publico, et in nome loro Pietro Batta da Nove, Giacomo Sabbadino, et Antonio Colombano Padri del Comune di detto luogo di Capraia. Sponte e per ogni miglior modo.

Hanno per essi e per loro Eredi promesso e successori promettono, si come per il presente atto si sono obligati, e solennemente si obligano di mantenere, governare, e provedere  detto Convento con il numero di dodeci frati come sopra da che si darà principio alla fabrica di esso per tempo, et in perpetuo di elemosine, di vitto, vestito, et ogni e qualsivoglia altra cosa necessaria per loro sostentamento, e governo. Con potere essi frati fare, e far fare in detto loco, terra, e presidio di Capraia le solite cariche settimana per settimana, et ogn’altro giorno e tempo, che sarà di necessario e di bisogno per detto loro vitto, vestito, governo, e mantenimento, et ogni altra cosa necessaria nessuna esclusa, in modo che alli sudetti frati al numero sudetto però non possi mai per alcun tempo mancare il detto vitto, vestito e conforme comporta e ricerca il loro vivere e professione e perciò li sudetti Huomini e Popoli con giuramento in mano di me Notaro infratto ad ogni decreto, privilegio, Constitutione, Capitolo, Legge così Civile come Canonica et a qualsivoglia altro beneficio che facessero o potessero fare a loro favore, e che potessero in qualsivoglia modo impedire, et ostare alla presente promessa et obligatione, e cose contenute nel presento Instrumento restino, e siano  sempre per ogni tempo valide habili, e ferme  e non contradire, ne contravenire, ma inviolabilmente osservarle  e remossa ogni eccettione e per osservazione delle cose sudette, et ogn’una di esse, li sudetti Huomini e Popoli ne hanno obligato et obligano le loro persone Eredi e successori, et ogni e singoli beni loro, et effetti presenti, e futuri e sotto renunciando e promettono osservare e volendo e ancorche è presente a tutte le sudette cose  et accettante il R. P. fra Giorgio della Bastia, in nome di detta Provincia et Io Notaro publico accettante e stipulante. Actum in Capraia nel Corpo della guardia alli 15 Gennaro dell’anno 1655.

Testimonij Filippo Sabbadino, Domenico Bargone, e Bartolomeo Princivalle chiamati e Giudice Sinibaldi Nove”[56]

 

  1. Verbale dell’asseblea della Communità di Capraia del 14 novembre 1655

 

Essendo vero che si sijno congregati, e radunati, li Padri del Comune con la più, e maggior parte delli homini, e populo di Capraia nel corpo di guardia alla presenza del molto Ill.re Sig.r Oberto Castiglione Capitano e Comissario, e di me infrascritto Cancelliere e testimoni, dove sentita l’Instanza fatta a Padri del Comune e populo molto R.P. fra Giorgio de padri minori osservanti di S. Francesco, esponendo , che gli anni passati fusse dalla maggior parte di essi richiesto, che nel presente loco di Capraia si dovesse fondare un Convento di detta religione; ma che essi padri, non possono fondare detto Convento, senza licenza della Sacra Congregazione, et esso populo senza licenza del Serenissimo Senato, che per ciò essendo necessario in quanto a detta Religione, mandar procuratore del presente loco, a richiedere dinanti detta Sacra Congragazione licenza di poter fondare Convento, dichiarando detto P. Fra Giorgio, che detto procuratore anderà a Roma, senza spesa alcuna di esso populo, e comunità, per esservi persona spirituale, che contribuisce alla spesa di detto viaggio, il che inteso da S.Signoria Molto Sig.re, ha ordinato detto Cancelliere vadi a prendere e ricevere, in voce li voti da uno per uno, et atteso quanto sopra io Cancelliere alla presenza delli infrascritti testimonij sono andato atorno a prender detti voti, quali tutti hanno aconsentito, si debba detto procuratore mandare, a richiedere detta licenza, senza però spesa alcuna del popolo e comunità, e quelli non hanno aconsentito sono li infrascritti, Giustiniano e Domenico Solari figli di Nicola Solaro, Gio q. Michele Solaro, Bartolomeo Ghio, Gio Batta Zizone, e Damiano Murgana. Le quali cose ricevute per me Gio Camillo Cattanio Cancelliere li quatordeci del mese di nevembre del’anno mille seicento cinquanta cinque in giorno di domenica la matina ora di terza in detto Loco del corpo di guardia, presente testimonij, Nob. Matteo Zerbi, e Sergente Pier Batta da Nove rogati e chiamati.[57]

 

  1. Lettera del Vescovo di Massa e Populonia ai Padri del Comune di Capraia del 19 gennaio 1658

 

Bandino Accarigi per Grazia di Dio, e dela Santa Sede Apostolica Vescovo di Massa, e Populonia al nostro dilettissimo Popolo di Capraja Salute, e Benedizione del Signore.

Sentendo piacere non ordinario, che lo zelo della Salute eterna si faccia desiderare nella loro isola maggiori ajuti con nuovi Pastori spirituali, ne lodiamo molto la loro pietà, e buon pensiero, ma perchè dobbiamo noi darne esatta informazione alla Santità del Sommo Pontefice abbiamo risoluto sentire più chiaramente l’intenzione di ciscuno di loro insieme, e pubblicamente convocati, e primieramente l’esortiamo ad aver aperti gli occhi solamente alla maggior gloria della Maestà di Dio, e al maggior utile delle anime loro. Appresso, o li mettiamo in considerazione l’esaminar bene, che il mantenere dodici frati, ossia Religiosi ricerca assai, e vediamo, che alla longa si mantengano appena nelle città di buona considerazione. Crediamo certamente che pel principio grandi sono le pietà loro, e bastevoli a sostenerli, e grande lo zelo de’ Padri in mantenervi famiglia di buon esempio, e di loro sodisfazione, ma li ricordiamo ancora, che all’usanza delle cose umane la carità dopo qualche tempo si raffredda, ed a loro forse rincrescerà il trovarsi con questo agravio, ed all padri, che si trovassero manco ben trattati non sarebbe più amore il mandarvi soggetti di buon esempio, e di loro soddisfazione, e di ricevere più scandalo, che ajuto, come con verità possiamo dirvi, e si vede in qualche altro luogo. Gli raccomandiamo di operare in questo quanto la coscienza gli detta, deposta qualsivoglia passione, ed interesse, e quando ne avremo inteso il sentimento loro, non mancheremo eseguire le parti di buon Pastore, e come continuamente preghiamo il Signore così adesso gli desideriamo da S. D. M. ogni consolazione.

Di Massa li 19 Gennaro 1658/+Bandino Vescovo di Massa e Populonia[58]

 

 

 

[1]Archivio di Stato di Genova (ASG), Corsica, n. 549, lettera del commissario Vincenzo Botto del 15 mag. 1620.

[2]ASG, Corsica, n. 553, lettera dei Padri del Comune del 20 apr. 1623, ASG e lettera del commissario Marco Aurelio Oderico del 24 apr. 1623. Capraia formalmente dipendeva dal governatore di Corsica anche se teneva un rapporto diretto con il Magistrato di Corsica. Il Magistrato di Corsica era una magistratura della Repubblica di Genova, formata da cinque membri eletti dai Collegi, dalla quale dipendeva il Governatore e che aveva competenze sia in campo civile e militare nel governo del «Regno di Corsica e isola di Capraia».

[3]Ibidem, n. 552, lettera dei Padri del Comune del 28 apr.  1623.

[4]Ibidem, lettera del commissario Alessandro Scorza del 30 apr. 1623.

[5]Ibidem, n. 439, lettera da Genova al commissario del 14 mar 1624.

[6]Ibidem, lettera da Genova al commissario del 2 maggio 1624: «Il Capellano intendiamo, che sij in Roma per ottenere la opportuna licenze per l’amministrazione dei sacramenti».

[7]Ibidem, lettera da Genova al commissario del 26 set. 1624.

[8]Ibidem, n. 553, lettera dei Padri del Comune del 6 dic. 1624.

[9]Ibidem, n. 440, lettera da Genova al commissario Cesare Doria del 21 gen. 1630.

[10]Ibidem, n. 440, lettera da Genova al commissario del 26 apr. 1630: «La prattica promossa del prete fra gio Batta di Chiavari de Minori Osservanti di San Francesco non crediamo possa aver luogo, e però sarà bene continuare in la diligenza di ritrovare un Capellano».

[11]Ibidem, n. 560, lettera del commissario Babilano de Mari del 2 nov. 1631; Ibidem, n. 563, lettera del commissario Gio Domenico Lomellino del 3 mar. 1636.

[12]Ibidem, n. 561, lettera del commissario Babilano de Mari del 14 ott. 1632

[13]Ibidem, n. 563, lettera del commissario Gio Domenico Lomellino 3 mar. 1636; Ibidem, n. 568, lettera del commissario Agostino Pallavicino del 24 lug. 1639.

[14]Ibidem, n. 587, lettera di fra Giorgio della Bastia al Doge di Genova del 12 giu. 1657.

[15]Ibidem, atto notarile del 15 gen. 1655 inviato a Roma. Il testo completo in Appendice.

[16]Ibidem, n. 585, verbale del cancelliere del 14 nov. e lettera di fra Giorgio al Magistrato di Corsica del 15 nov. 1655.

[17]Ibidem, n. 587,atto stilato da Camillo Cattaneo, notaio e cancelliere della Curia di Capraia il 3 mag. 1656. Del disegno allegato all’atto non si è ritrovata alcuna traccia nell’Archivio di Stato di Genova. L’originale potrebbe essere nell’Archivio Segreto Vaticano.

[18]Ibidem, n. 586, lettera del commissario Oberto Castiglione del 24 set. 1656.

[19]Ibidem,n. 587, lettera dei Padri del Comune di Capraia al Magistrato di Corsica a Genova del 2 maggio e  lettera di fra Giorgio della Bastia al Doge di Genova del 12 giu. 1657.

[20]Ibidem, verbale di assemblea del 29 mag. 1657. L’atto dei Padri del Comune a cui si fa riferimento è quello del 3 maggio 1656.

[21]Ibidem, lettera di una parte della Comunità di Capraia al commissario del 30 apr. 1657.

[22]Ibidem, lettera del commissario Oberto Castiglione al Magistrato di Corsica del 1 mag. 1657.

[23]Ibidem, lettera dei Padri del Comune di Capraia al Magistrato di Corsica a Genova del 2 maggio 1657.

[24]Ibidem, lettera di Agostino Franzone, console della Repubblica di Genova presso il Vaticano, al Senato della Repubblica del 12 mag. 1657. Il numero di abitanti fu notevolmente gonfiato. Sulla base di altri documenti si può stimare la popolazione residente in quegli anni a circa 700-800 persone.

[25]Ibidem, lettera di Agostino Franzone, console della Repubblica di Genova presso il Vaticano, al Senato della Repubblica del 19 mag. 1657.

[26]Ibidem, lettera di fra Giorgio della Bastia al Doge di Genova del 12 giu. 1657.

[27]Archivio Diocesano di Livorno (ADL), Archivio Parrocchia S. Nicola di Bari, Battesimi, registro n° 4.1.3, lettera del vescovo Bandino Accarigi del 19 gen. 1658.

[28]ASG, Corsica, n. 587, lettera dei Padri del Comune al Doge e al Senato di Genova del 29 giu. 1658.

[29]Ibidem, n. 230, lettera del Magistrato di Corsica al Residente di Roma del 18 lug. 1658

[30]Ibidem, n. 588, lettera del commissario del 5 nov. 1659.

[31]Archivio Diocesano di Massa Marittima, Relazione della visita pastorale del 30 mar.- 2 apr. 1661.

[32]ASG, Corsica, n. 613, lettera del commissario Brancaleone D’Oria del 13 ago. 1674. La lapide fu posta da Filippo Sabadino nel1674. Il commisario a seguito delle rimostranze di alcuni capraiesi su quanto in essa si affermava, confermò che dalle testimonianze raccolte fu proprio il Sabadino che fece costruire a sue spese l’abside servendosi anche dell’aiuto di suoi parenti per portare sul posto le pietre necessarie.

[33] ASG, Corsica, n. 625, lettera dei “poveri di Capraia” del 24 ago. 1667.

[34] A.  Riparbelli, La Chiesa di Sant’Antonio in Capraia Isola, Firenze 1977, p. 5.

[35] Probabilmente il secondo corpo fu costruito nel 1883, come indicato da una targa in pietro che oggi si trova su uno dei fabbricati costruiti dopo il 1916.

[36] ASG, Corsica, n. 640, lettera del Commissario di Capraia, Gio Agostino Morone, del 28 dic. 1707.

[37]G. Santeusanio, Una storia inedita dell’isola di Capraia: il domicilio coatto dal 1863 al 1869, in Un’isola superba, Genova e Capraia alla riscoperta di una storia comune, Genova 2012, p. 94.

[38] R. Moresco, 1689 – Miracolo in casa Bargone, in www.storiaisoladicapraia.com

[39]A. Riparbelli, La Chiesa di Sant’Antonio …, cit., pp. 9-11. L’autore dà una dettagliata descrizione dell’interno della chiesa di Sant’Antonio sulla base di una sua ricognizione del 1977. La situazione ad oggi è molto peggiorata: alcuni quadri sono spariti, gli altari sono molto deteriorati e molte lapidi sono illeggibili.

[40] ASG, Corsica, n. 640, lettera del Commissario di Capraia, Gio Agostino Morone, del 28 dic. 1707.

[41]Per la storia dell’organo v. R. Moresco, 1748 – Un organo per la chiesa di S. Antonio del convento francescano di Capraia, in www.storiaisoladicapraia.com

[42]A. Riparbelli, La Chiesa di Sant’Antonio …, cit., p. 7.

[43]ASG, Corsica, n. 611, lettera dei Padri del Comune del 26 gen. 1686. Per lo stemma v. Ibidem, n. 637, lettera dei Padri del Comune del 25 lug. 1695.

[44]Ibidem, n. 613, lettera del commissario Gio Batta Federici del 3 set. 1687.

[45]Ibidem, n. 611, lettera del vescovo di Massa Marittima del 18 mag.1687.

[46]Ibidem, lettera di Vittore Battistini, pievano di Capraia, del 20 nov. 1687. La festa di Sant’Antonio da Padova si celebra il 13 giugno.

[47]Ibidem, n. 613, lettera del Commissario Gio Batta Federici del 16 dic. 1687

[48]ASG, Corsica, n. 613, lettera del governatore di Corsica Raffaele di Passano del 27 apr. 1695; decreto del commissario Domenico Maria Gallo del 1 mag. 1695 e lettere dello stesso del 30 nov. 1695 e del 29 dic. 1695.  Ibidem, n. 617, lettera dei Padri del Comune del 6 mag. 1718.

[49]ASG, Corsica, n. 1372, nota senza data ma scritta nel periodo 1667-1674.

[50]A.  Riparbelli, La Chiesa di Sant’Antonio … cit., p. 6.

[51]ASG, Corsica, n. 427, Commissione dei Serenissimi Collegi del 24 set. 1756.

[52] R. Moresco, L’isola di Capraia, carte e vedute tra cronaca e storia, Secoli XVI-XIX, Livorno 2008, p. 152.

[53]Archivio di Stato di Torino (AST), Economato dei benefizi Vacanti Conventi Soppressi, Mazzo 480, lettera del cardinale Ferrero della Marmora su convento del 6 nov.1828.

[54]A.  Riparbelli, La Chiesa di Sant’Antonio … cit., p. 7.

[55]G. Santeusanio, Una storia inedita dell’isola di Capraia …, cit., pp. 91-96.

[56] Ibidem,n. 587, atto notarile del 15 gen. 1655 inviato a Roma.

[57] ASG, Corsica, n. 585, verbale  del Cancelliere del 14 nov. 1655.

[58] Archivio Diocesano di Livorno, Parrocchia S. Nicola di Bari, Battesimi, registro n° 3.

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